Casale San Nicola, via Visso e la trappola dell’accoglienza

I recenti avvenimenti di via Visso e Casale San Nicola sono emblema 
dell'ennesima trappola del sistema di accoglienza, fucina bipartisan di 
profitti e voti. Proviamo a fare una riflessione più organica su questo 
trasferimento, le speculazioni politiche ed economiche, il rapporto con 
alcuni fatti recenti e con le prospettive locali, nazionali ed europee.

Partiamo, anzitutto, dallo specifico caso del Centro di via Visso, che, 
nonostante abbia rivestito per i ragazzi il termine principale di 
rivendicazione, è sempre stato lungi dall'essere difeso sia dalle realtà 
territoriali che dagli stessi “inquilini”. La struttura era gestita dalla 
cooperativa Inopera, coinvolta nell'inchiesta Mafia Capitale e titolare 
anche del centro rom Best House, sempre a via Visso, finito alla ribalta 
delle cronache qualche mese fa per le condizioni disumane in cui 
alloggiano gli ospiti a fronte di quasi 700 euro mensili di spese a 
persona. Per quanto concerne il centro di accoglienza, i migranti hanno 
più volte denunciato la scarsa qualità del cibo, la fatiscenza della 
struttura, le irregolarità nella consegna del “pocket money” (la paghetta giornaliera), 
l'atteggiamento aggressivo di alcuni operatori che pretendevano di 
controllare a pieno la vita dei ragazzi. A ciò si aggiungeva una 
pressocchè totale mancanza di comunicazione rispetto alla loro 
situazione legale, alla commissione per lo status di rifugiato, alla 
preparazione per il colloquio, alle miriadi di domande cui, com'è 
naturale che sia, persone che si giocano il futuro vorrebbero 
quantomeno risposta. Per citare un esempio su tutti, i ragazzi si sono 
dovuti recare autonomamente alla Questura per informarsi sulla data 
della commissione,che non gli veniva comunicata dagli operatori.

Nonostante la difficile situazione, quella che doveva essere una 
sistemazione provvisoria ha assunto una dimensione più stabile e gli 
ospiti hanno cercato un contatto con il territorio, tentando di 
costruirsi relazioni anche al di fuori delle struttura in cui, volenti o 
nolenti, erano relegati. Già un mese dopo il loro arrivo hanno iniziato 
a frequentare il corso d'italiano al Casale Alba 2, da cui è nato un 
rapporto che è andato ben oltre l'insegnamento della lingua e si è 
trasformato in una partecipazione più profonda alle attività dello 
spazio sociale. Una, seppur piccola, dimostrazione di come si può 
rompere il ghetto che viene costruito intorno alla figura del migrante, 
instaurando relazioni che non si basano sulla concezione vittimistica 
della loro condizione ma sulla costruzione di una comunità unita e 
consapevole. Tale frequentazione, tuttavia, se dapprima era accolta con 
favore dalla cooperativa del centro, in un secondo momento ha incontrato 
le sue resistenze, con le quali ha cercato di limitare i contatti per 
timore che questa esperienza potesse rendere i migranti meno addomesticabili”. Numerosi sono stati i tentativi di controllo delle 
presenze e delle attività che i ragazzi svolgevano nel Casale e sul 
territorio, non accettando l'ipotesi che essi potessero intraprendere 
percorsi svincolati dalle strette maglie dell'accoglienza “made in 
Italy”.

E' da notare che il centro è inserito in un quadrante, quello tiburtino, 
in cui la questione accoglienza è all'ordine del giorno di politicanti, 
prefettura e cooperative. Il IV Municipio presenta, infatti, un numero 
elevato di centri: biglietto da visita non proprio gratificante per 
gli interessi di amministrazioni e affaristi vari sull'asse della 
Tiburtina, futuro centro nevralgico per il Giubileo e direttrice privilegiata di espansione della metropoli. 
Lo sgombero della baraccopoli di Ponte 
Mammolo, non più tardi di due mesi fa, aveva ben evidenziato la volontà 
da parte di amministrazioni locali e cittadine di fare un po' di pulizia”, asserendo la giustificazione della “sicurezza e del 
ripristino della legalità, oltre che il debellamento di alcune malattie 
infettive gravi”. Che, tradotto, per questi signori significa mettere in 
mezzo alla strada centinaia di persone da un giorno all'altro, non 
offrire loro una sistemazione degna, disseminare focolai di infezioni 
per la città e creare un'enorme discarica a cielo aperto di cui si sta 
aspettando un bando per la rimozione(!). Un'operazione ai limiti del 
paradossale, se si pensa che quel sito già sopperiva a una grave 
dolosa mancanza del sistema di accoglienza italiano ed europeo: un luogo di smistamento per i migranti 
in transito che vogliono proseguire verso i Paesi del Nord Europa. Ponte 
Mammolo era uno snodo autogestito di questo tipo, certo con mille 
problemi e contraddizioni, ma ormai divenuto punto di riferimento per 
chi proveniva da Lampedusa e carcava riparo per qualche notte. Oltre 
alle decine di persone che ne avevano fatto la propria casa, arredandola 
e tenendo lì gran parte dei propri, pochi, effetti personali. Con la 
distruzione delle baracche, costruzioni a cui peraltro lo storico 
quartiere di Pietralata non è nuovo in quanto rappresentano le sue 
origini di borgata, amministrazioni e prefettura hanno tentato di 
mostrare dei muscoli che non hanno: infinite sono state le polemiche 
delle settimane successive e gli strascichi della vicenda sono tuttora 
ben evidenti non solo nel parcheggio antistante Ponte Mammolo, ma anche al centro Baobab e alla 
Stazione Tiburtina, dove sono assiepati gli ex-baraccati. A poco vale la 
promessa, da parte dell'Assessorato alle Politiche Sociali, 
dell'apertura di un centro per transitanti nei pressi della Tiburtina, 
non solo perchè, come ragione vorrebbe, questo avrebbe dovuto precedere 
l'eventuale sgombero della baraccopoli, ma anche 
perchè le 50 camere della struttura sono del tutto insufficenti a 
coprire un flusso di migliaia di persone. Senza contare la volontà delle 
persone che abitavano e attraversavano quotidianamente le baracche, 
peraltro senza mai causare disagi e attriti col quartiere circostante, ma questa è un'altra storia...

Il paragone con Ponte Mammolo è d'obbligo, sia per l'insistenza sullo 
stesso territorio, sia per il disegno che motiva e rende possibili 
operazioni di questo tipo. Anche se, è bene ricordarlo, non è l'unico 
caso avvenuto negli ultimi mesi in questo municipio: nel giro di qualche 
mese abbiamo assistito ad altri due episodi molto simili, ovvero la chiusura 
del Centro di Accoglienza di via di Rebibbia (nel qual caso solo grazie 
alla determinazione dei migranti si è riuscito ad evitare un loro 
smistamento in tutta Italia) e la possibile chiusura della struttura di 
via Scorticabove, per cui gli ospiti hanno ottenuto una proroga e stanno 
trattando sulla loro permanenza. E' dunque chiaro l'intento 
dell'amministrazione municipale di togliere il territorio tiburtino 
dalla cima delle classifiche per l'accoglienza dei migranti; una 
richiesta, quella dello smistamento in tutti i municipi, che potrebbe 
anche essere legittima, se non fosse che le modalità con cui viene 
eseguita sono fuori da ogni programmazione e, soprattutto, seguono i 
soli criteri della convenienza politica e del profitto, senza, neanche a 
dirlo, tenere in considerazione le esigenze dei soggetti interessati.

Agli ospiti di via Visso, in linea con questa impostazione, viene 
comunicato con sole 48 ore di anticipo, senza possibilità di 
alternativa, il trasferimento nella nuova struttura, quell'ex scuola di 
Casale San Nicola a cui da mesi i comitati della zona si oppongono: il 
quartiere dell'Olgiata, ricco e benestante, non può certo accettare la 
presenza di “stranieri” sul proprio territorio. Una protesta che 
costituisce terreno estremamente fertile per le speculazioni politiche 
della destra, sia riformista che radicale, sempre in prima linea nel 
fomentare la xenofobia e l'odio razziale per i propri tornaconti 
elettorali, per difendere gli interessi padronali e dirottare verso 
le vittime di turno cariche di rabbia altrimenti pericolose per il 
potere costituito. Il meccanismo utilizzato è sempre quello della 
strumentalizzazione dei comitati di quartiere, o in qualche caso perfino 
la loro costruzione artificiale: un elementare ma sempre efficace 
sistema della per creare consenso, dare una veste di legittimità alle 
proprie manovre e mascherare il coinvolgimento a pieno titolo 
nell'affare dell'immigrazione (Mafia Capitale docet). A Casale San 
Nicola, con la complicità del solito circo mediatico, viene costruito ad 
hoc un teatrino da manuale: in poche ore la protesta di 
qualche decina di persone diventa un caso di respiro nazionale 
sull'emergenza immigrazione, proprio nei giorni in cui a Bruxelles si 
discute la redistribuzione dei migranti su scala europea e, 
contemporaneamente, accadono due fatti simili a Treviso e Livorno. Caso” vuole che, quando nei giorni successivi vene trasferita la 
seconda parte di migranti nel Centro, la mancanza di scaramucce (perchè 
solo così si possono chiamare gli “scontri” amichevoli di quel giorno) ha fatto sì che 
la notizia passasse in sordina sui quotidiani nazionali e in poche righe 
sui locali.

Ci sono, dunque, parecchie chiavi di lettura degli avvenimenti. Il primo 
dato che salta agli occhi è senza dubbio la complessità della figura del 
migrante già prima che diventi tale, ovvero si metta in viaggio verso 
una vita migliore. Qualsiasi considerazione sui flussi migratori 
non può infatti prescindere dalla comprensione di come la 
fine della colonizzazione “fisica” del secolo scorso non abbia 
significato il termine dell'assoggettamento delle popolazioni, ma 
bensì un semplice “cambio di casacca”, dalle volontà di potenza degli 
Stati-nazione al colonialismo economico delle multinazionali. In un 
momento di congiuntura economica così sfavorevole e di competizione fra 
le classi dominanti di Paesi emergenti e Occidente, è di vitale importanza, per 
entrambe le parti, sia lo sfruttamento di risorse, umane ed economiche, 
sia l'istituzione di mercati da esportazione. Ingenti 
investimenti e derive imperialiste ai 4 angoli del globo costituiscono 
una costante nella politica estera delle potenze che si spartiscono le 
sorti del pianeta, generando guerre, sofferenze e sfruttamento. Da qui 
la voglia da parte dei giovani asiatici, sudamericani o, come in questo 
caso, africani di emanciparsi da questa spirale e partire verso 
l'illusione di un'esistenza degna, cercando di sfruttare a proprio 
favore gli effetti della stessa globalizzazione che provoca la 
condizione degradante delle loro comunità d'origine. E già qui viene 
meno uno degli assiomi su cui fanno leva non solo perbenisti e razzisti, 
ma anche le stesse commissioni che assegnano l'asilo politico: fare un 
distinguo nell'accoglienza delle persone che non provengano da scenari 
di “guerra” propriamente detti, come se non lo fosse anche lottare 
quotidianamente per la sopravvivenza. Una fantasiosa interpretazione che 
denota, da una parte, ignoranza ed egoismo endemici, mentre dall'altra il non volersi  
assumere le responsabilità derivanti da secoli di 
sfruttamento e anzi continuare a beneficiarne. In questo senso 
emblematiche sono le operazioni militari di difesa della “fortezza 
Europa”, che mirano sia a mantenere l'emergenza per perpetuare il 
business dell'immigrazione, sia a marcare una volta di più i confini tra 
la società del benessere e i dannati della Terra.

I migranti che riescono a sopravvivere a una lunga e tortuosa traversata 
si trovano così ad affrontare una sfida, se possibile, ancora più dura, 
fatta di udienze, sgomberi, frontiere chiuse, trasferimenti, reclusioni, 
ricatti. Sia che decidano di ripartire verso il Nord Europa sia, 
soprattutto, di restare in Italia, essi costituiscono, dal momento in 
cui mettono piede sulla terraferma, occasione di guadagno per chi 
gestisce la loro presunta “accoglienza”: un esempio ne sono le dita e 
braccia rotte nei luoghi di sbarco per costringere i malcapitati a dare 
le impronte e, di conseguenza, a mettere in moto il meccanismo delle 
sovvenzioni. Per avere un gettito continuo questo sistema ha tre 
necessità principali: anzitutto la continuità del flusso, che deve essere costante e massiccio; 
il mantenimento dell'emergenzialità, che fornisce terreno fertile per speculazioni, decisionismo, soluzioni di forza; 
la completa ricattabilità dei soggetti in questione, che devono essere ridotti a 
esseri poco più che inanimati al servizio di chi su di loro fa profitti. 
La concezione vittimistica e l'approccio assistenziale nei confronti dei 
migranti sono, dunque, parte essenziale di tale meccanismo: la prima per 
svuotare qualsiasi potenziale conflittuale, di loro stessi come di chi è 
solidale; il secondo per fornire strumenti di ricattabilità attraverso 
cui manovrarli a pieno senza possibilità di alternativa. Lo status di richiedente asilo, infatti, 
non prevede obbligatoriamente un'assistenza così totale: fornire un 
posto dove dormire, mangiare, reperire medicine e una misera paghetta 
giornaliera di 2,5 euro in cambio di cieca obbedienza diventa dunque il
mezzo attraverso cui rendere le persone dipendenti dallo stesso sistema 
che su di loro specula e, in qualche modo, li prepara alla condizione di ricattabilità cui saranno destinati dopo la trafila 
dell'accoglienza. Anche successivamente, infatti, la loro permanenza, 
soprattutto per chi non dovesse vedere accolta la richiesta di asilo, è 
legata a doppio filo all'ottenimento di un lavoro, poco importa se 
sottopagato o in semischiavitù. I magazzini della logistica, i campi 
coltivati, i benzinai, i cantieri, le fabbriche sono pieni di 
extracomunitari disposti, pur di non essere rispediti nel proprio Paese 
d'origine, a lavorare in condizioni disumane, al soldo degli stessi che 
agitano ad orologeria il mostro dell'immigrato stupratore e tagliagole 
che vive sulle spalle degli italiani e gli ruba il lavoro. Una 
costruzione del nemico da sfruttare già vista, neanche un secolo fa, con 
gli abitanti delle regioni meridionali, bacino inesauribile di forza 
lavoro a basso costo e capri espiatori cui addossare, in caso di 
necessità, responsabilità di ogni tipo.

Si approssima un contesto in cui le varie operazioni militari 
nel Mediterraneo, la presunta redistribuzione dei migranti in Europa, la 
chiusura delle frontiere, il sistema d'accoglienza, le migliaia di morti durante le traversate 
appaiono sempre più come un semplice gioco delle parti che non hanno alcun interesse, se non 
quello speculativo, nella vita dei migranti. La 
vicenda di Casale San Nicola e via Visso è solo l'ultima ruota di un 
carro ben più grande e complesso che evidenzia una volta di più la 
continuità nella gestione dell'accoglienza con le modalità precedenti all'inchiesta Mafia Capitale, 
semplice passaggio di potere tra diversi gruppi di interesse. Il mondo cooperativistico, o meglio i suoi padroni, vero 
motore dell'intero sistema, continuano a dettare i tempi 
dell'accoglienza con gli unici criteri di convenienza e profitto, 
supportati e legittimati dal sodalizio con amministrazioni e forze 
dell'ordine. A dimostrazione di ciò basti pensare che il principale 
motivo della vera e propria deportazione di cui stiamo parlando è un cambio di appalto 
tra cooperative, che, peraltro, scade a fine dicembre, con probabile 
ulteriore trasloco degli inquilini: tanto probabile che il principale termine di 
trattativa con i comitati di quartiere sulla loro permanenza nel centro, 
sbandierata come una vittoria della concertazione prefettizia, è stato 
proprio la provvisorietà della sistemazione e l'istituzione di un 
presidio di sicurezza fisso.

Del trasferimento dei ragazzi dalla Tiburtina all'Olgiata, e soprattutto 
della conseguente montatura mediatica, hanno, dunque, beneficiato più 
attori: anzitutto le varie formazioni della destra, che, come già detto, 
stanno facendo dell'immigrazione il principale volano di campagna 
elettorale e di lavaggio d'immagine del loro coinvolgimento negli affari sui migranti; 
le amministrazioni, comunali e del IV 
municipio, che, senza esporsi più di tanto, stanno attuando una lenta ma 
costante deportazione dal tiburtino, ingraziandosi 
l'elettorato più sensibile alla tematica della legalità e del decoro e 
contemporaneamente concedendo favori alle cooperative conniventi di 
nuova generazione; le cooperative stesse che,  lontano dai riflettori, 
continuano ad essere arbitri, speculatori e controllori del business 
dell'accoglienza; le prefetture che, lungi dall'essere, come vorrebbero 
far credere, le vittime sacrificali del meccanismo, costituiscono il 
braccio armato del triumvirato con amministrazioni e cooperative, il cui 
puntuale intervento da una parte mantiene lo status di emergenzialità, 
attraverso cui si giustifica qualsiasi provvedimento, e dall'altro evita 
alla politica una difficile mediazione sul problema; l'attuale governo 
che, in quei giorni, nella persona del ministro Alfano andava a 
discutere a Bruxelles la fallace redistribuzione dei migranti su scala 
europea, a cui senza dubbio le vicende di Roma, Treviso e Livorno hanno 
fornito un valore aggiunto nei termini della trattativa; la stessa fortezza europa”, che continua a chiudere le proprie frontiere nel 
Mediterraneo, a Ventimiglia, a Calais perchè le sue classi dirigenti 
devono poter decidere i modi, i tempi e le quantità di afflusso dei 
migranti.

Restano, comunque, da questa vicenda, anche alcuni dati positivi, che 
potrebbero costituire la base per affrontare in futuro una questione che sembra tutt'altro che finita.
 Oltre, infatti, a delineare sempre meglio i contorni di un sistema difficile da decifrare, esperienze come questa 
costituiscono un bagaglio prezioso per chi le vive sulla propria pelle o 
sul proprio territorio. Significativa, in questo senso, è stata la 
crescita che i ragazzi di via Visso, e con loro le realtà della zona, hanno dimostrato dal loro arrivo 
fino ai giorni di mobilitazione. Confrontarsi collettivamente sulle 
decisioni da prendere, partecipare in massa alle iniziative, cercare, facendo lo 
slalom tra le minacce di perdere l'accoglienza e l'asilo 
politico, forme di attivazione diretta come quella del presidio testimoniano un livello di coscienza e responsabilità 
collettive che, come modello riproducibile, potrebbero essere la genesi 
di una possibile lotta per la conquista della propria dignità. 
Esperienze di questo genere, esattamente come quella del presidio 
permanente di Ventimiglia, sono passaggi fondamentali per 
dotarsi degli strumenti necessari ad affrontare una tematica così 
multiforme e, nel contempo, dare modo a chi è confinato nel limbo della 
figura del migrante di attivarsi direttamente per il miglioramento della 
propria condizione, senza dover attendere, anche qui, che qualcuno 
dall'alto intervenga e decida sulla sua vita.

Inoltre, nonostante la chiarezza delle intenzioni, la mancanza di un 
piano istituzionale preciso di attuazione del disegno sull'immigrazione determina una 
casualità e provvisorietà degli interventi che potrebbe essere sfruttata 
per far esplodere l'enorme quantità di contraddizioni del sistema 
accoglienza. Starà dunque alle realtà che operano nei quartieri continuare a 
denunciare sistematicamente questo stato di cose, evitare con ogni mezzo 
la guerra tra poveri indicando con determinazione i veri colpevoli e, quando 
possibile, supportare le mobilitazioni dei migranti, così da creare 
qualche piccolo inceppamento nella disgustosa macchina che si cela 
dietro all'immigrazione. 

NON CI CASCHIAMO PIU': IL VERO DEGRADO SONO POLITICI E AFFARISTI CHE 
SPECULANO SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI TERRITORI!

                                                               

Presidio Solidale Via Visso

 

 

DA VIA VISSO NON CE NE ANDIAMO!

 

Da qualche giorno i ragazzi del Centro di Accoglienza di via Visso, sulla Tiburtina, stanno esprimendo un netto no al loro trasferimento coatto verso Casale San Nicola, tristemente noto alle cronache per i fatti avvenuti nella giornata di venerdì. Ci teniamo a far sapere la verità sul loro conto e a supportare le loro ragioni, sia per l’infame gestione che si continua a perpetrare nei confronti dei migranti, sia per il profondo legame che ci lega ai ragazzi grazie al corso di italiano e altre attività che frequentano da quasi un anno. Invitiamo tutti e tutte a passare al presidio istituito nei pressi del Centro e portare solidarietà alla loro lotta!

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Di seguito riportiamo la lettera aperta scritta dai ragazzi e il comunicato sui fatti di questi giorni:

Vogliamo Pace e Giustizia

Spettabili signori e signore,

é un grande piacere e onore per noi scrivervi cosa ci affligge.

Crediamo che ci possiate sinceramente aiutare a raggiungere Pace e Giustizia.

Innanzitutto, noi siamo qua per cercare asilo internazionale: questo è quanto ci è stato promesso.

Nel posto in cui ci vogliono portare, invece, c’ è stata una manifestazione contro i migrant in questi giorni. C’ è seriamente il rischio che lì qualcuno ci possa ferire gravemente o addirittura uccidere.

Non possiamo e non vogliamo andare in un posto in cui la nostra vita è messa in pericolo.
Ognuno di noi ha seri problemi nel proprio paese di origine: alcuni sono stati imprigionati, altri minacciati di morte.

Inoltre, ci era stato detto che prima avremmo avuto la nostra commissione (il colloquio per ottenere l’ asilo) e dopo ci avrebbero trasferito. Invece non abbiamo ancora avuto la commissione e ora loro vogliono spostarci in un altro posto.

Noi non ci trasferiremo senza aver avuto la commissione.

Chiediamo a tutta la comunità di aiutarci a risolvere questo problema.

I ragazzi del Centro di via Visso

 

 

COMUNICATO SUI FATTI DI CASALE SAN NICOLA E VIA VISSO

Ci risiamo. La storia, purtroppo, si ripete, e ci troviamo oggi ad affrontare l’ennesimo sopruso sulla pelle dei migranti a meno di due mesi di distanza dallo sgombero di Ponte Mammolo, l’ultimo grave episodio nel quadrante tiburtino in materia di “accoglienza”.
La “rivolta” di Casale San Nicola ha, infatti, una genesi molto più ampia e articolata di quanto non sia apparso nel solito circo mediatico che, dolosamente, continua a mettere al centro della narrazione solo la parte utile a fomentare la xenofobia e l’odio razziale. Protagonisti della vicenda le amministrazioni e i soliti “comitati” di quartiere, strumentalizzati da razzisti e fascistoidi vari per soffiare sul fuoco dell’emergenza e dirottare sull’immigrato cariche di rabbia altrimenti pericolose per il potere costituito.
Ma andiamo con ordine. A settembre 2014 sbarcano in Sicilia, tra le migliaia di altri, 60 ragazzi provenienti da Gambia, Senegal, Mali. Dopo pochi giorni di permanenza nei centri locali vengono trasferiti a Roma, insieme a un gruppo di pakistani e bengalesi, in una struttura a via Visso, sulla Tiburtina, dove sarebbero dovuti rimanere temporaneamente fino al colloquio con la Commissione giudicante lo status di rifugiato. La data di tale colloquio, tuttavia, rimane vaga per lunghi mesi, durante i quali i ragazzi iniziano a vivere attivamente il territorio in cui sono inseriti: chi lavorando, chi iscrivendosi a scuola, chi frequentando gli spazi sociali del quartiere attraverso corsi di italiano e altre attività. Lentamente iniziano a fare comunità, a integrarsi tra loro e con l’esterno, a uscire sempre più dal ghetto che viene costruito intorno alla figura del migrante.
Nel frattempo, a maggio inizia a circolare la voce che verrà aperto un nuovo centro di accoglienza sulla Cassia, all’incrocio tra La Storta e la Braccianese. Sull’onda di quanto già successo a Tor Sapienza subito si attivano gli abitanti del quartiere che, fomentati da Casapound e le solite destre romane, occupano simbolicamente l’ex scuola che dovrebbe ospitare il centro e istituiscono un presidio permanente di protesta.
Pochi giorni fa, le due vicene si sono intrecciate in un disegno che ha ben poco di casuale. Ai ragazzi di via Visso viene comunicato, con sole 48 ore di anticipo, lo spostamento nell’edificio in questione, a decine di chilometri da dove hanno iniziato, tra mille difficoltà, a crearsi un’esistenza minimamente dignitosa. La motivazione ufficiale, peraltro tenuta nascosta fino all’ultimo, è il cambio di cooperative nell’appalto per l’accoglienza dei ragazzi, nell’ambito della riorganizzazione seguita a Mafia Capitale e al rapporto del prefetto Gabrielli. Da subito i ragazzi, che dunque dovrebbero essere spostati come pacchi postali senza minimamente essere interpellati, esprimono la ferma volontà di non volersi muovere verso la nuova collocazione, non volendo rinunciare ai percorsi già avviati e rifiutando di essere pedine di un meccanismo che trae profitto dalla loro deportazione. Tuttavia, la condizione di ricatto in cui versano a causa della richiesta d’asilo, un vero e proprio “limbo” giuridico, non consente loro di agire liberamente, poiché qualsiasi comportamento anche solo ai limiti della legalità potrebbe compromettere la richiesta stessa.
Accade così che la mattina di venerdì, sotto la minaccia di pregiudicare il parere della commissione d’asilo e di non ricevere più il “pocket money” e i pasti, il primo gruppo di ragazzi accetta a malincuore di andare a Casale San Nicola. Al loro arrivo trovano ad attenderli un centinaio tra residenti e fascisti inferociti, che tentano di opporsi fisicamente al passaggio del pullman dando vita ad un comico teatrino con le forze dell’ordine. Da qui inizia la narrazione tossica dei mass-media che, in un gioco delle parti già visto, trasformano la protesta, per quanto veemente, di qualche decina di persone in un evento di respiro nazionale con scontri e feriti.
E’ ormai evidente che non si tratta di casi isolati o di episodi di cronaca ordinaria, ma di strumenti che mirano a contrapporre soggetti vittime dello stesso sistema di sfruttamento quotidiano come i migranti e gli abitanti delle periferie. Nel solo quadrante tiburtino esistono decine di Centri SPRAR, CPT, CARA dove centinaia di persone vivono assiepate per mesi o anni senza un briciolo di prospettiva, incastrati nei meccanismi dello status di rifugiato, della richiesta d’asilo, di procedure europee che hanno il sapore di un lavaggio d’immagine rispetto agli interventi imperialisti che manu militari l’Occidente continua a perpetrare nei Paesi di provenienza dei profughi. L’unica risposta delle amministrazioni a un flusso migratorio sempre più imponente sembra essere quella che stiamo vedendo a Ponte Mammolo prima e a via Visso poi, con l’intento di trattare i migranti unicamente come problema di ordine pubblico finalizzato al mantenimento dell’emergenza e, dunque, alla speculazione su di essa da parte del sodalizio governanti-cooperative.
Per denunciare tutto questo abbiamo dunque deciso di dare vita a un presidio permanente diurno nei pressi del Centro, a cui invitiamo tutti e tutte a passare, affinchè i ragazzi abbiano la possibilità di comunicare le loro ragioni e smascherare l’enorme quantità di bugie dette a loro insaputa.

NON CI CASCHIAMO PIU’: IL VERO DEGRADO SONO POLITICI E AFFARISTI CHE SPECULANO SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI QUARTIERI!

Presidio Solidale Via Visso

 

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Sabato 25/10 Presentazione del corso d’italiano e del libro “CIE e complicità delle organizzazioni umanitarie” di Davide Cadeddu

Sabato 25/10 Presentazione del nuovo corso d’italiano e del libro “C.I.E. e complicità delle organizzazioni umanitarie” di e con Davide Cadeddu

Ci sono pochi dubbi sul fatto che i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), dove sono oggi recluse migliaia di persone con la sola colpa di essere emigrati da Paesi più poveri e bellicosi del nostro, siano luoghi di detenzione con le stesse caratteristiche dei campi di concentramento storici.

Frequenti sono le manifestazioni di disagio e sofferenza dei reclusi, non di rado rivolte, ed è ormai impossibile ignorare questa situazione vergognosa. Meno conosciuta e considerata è invece quell’aria grigia nella quale si collocano le responsabilità delle organizzazioni “umanitarie” che gestiscono i CIE e che legittimano di fatto questo perverso meccanismo di segregazione e sfruttamento.

Una questione, quella dei migranti, al centro delle cronache della scena romana e nazionale, che sta assumendo sempre più i contorni di una guerra tra poveri alimentata dalle istituzioni per il proprio interesse.

 

Sabato 25 ottobre: ore 17 presentazione del nuovo corso d’italiano del Casale

 

ore 18 presentazione del libro “CIE e complicità delle organizzazioni umanitarie” e dibattito sulla questione migranti. Ne parliamo con:

Davide Cadeddu, autore

Comitato di Quartiere Villa Certosa

 

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2 Febbraio – Dai campi di Rosarno ai magazzini di città

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Domenica 2 Febbraio 2014 la Ciclofficina Skatenata e le Ciclofficine Popolari di Roma presentano:

 

DAI CAMPI DI ROSARNO AI MAGAZZINI DI CITTÀ

 

ore 10  come ogni prima domenica del mese, pulizia del parco

ore 13 Pranzo popolare

ore 16 incontro-dibattito: lo sfruttamento che nasce dalla grande distribuzione, esperienze di lotta dalle campagne alle metropoli

con proiezione del documentario “Il tempo delle arance” e presentazione della campagna “Luci su Rosarno”

Interverranno: Campagne in Lotta

                          Ciclofficine popolari di Roma

                          Assemblea dei lavoratori della logistica

 

Iniziativa a sostegno della campagna Luci su Rosarno

http://ciclofficinepopolari.it/iniziative/2013/luci-su-rosarno/

http://campagneinlotta.org/

 

  CAPORALATO NELLE CAMPAGNE E SFRUTTAMENTO NELLE METROPOLI,

   DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

Domenica 2 Febbraio al Casale Alba 2 ci sarà un’iniziativa che vuole far conoscere una realtà molto spesso dimenticata e nel contempo instaurare un legame tra le lotte reso necessario dai rapporti produttivi di oggi.

E’ evidente il meccanismo di sfruttamento, perfettamente organizzato, che viene messo in campo, da una parte, nella raccolta alimentare, in cui i braccianti agricoli stagionali sono ridotti a un regime di schiavitù e costretti a girare l’Italia per guadagnare meno di un tozzo di pane, e dall’altra, nel settore della logistica, nel quale i lavoratori sono vessati dalle condizioni disumane in cui devono stoccare e trasportare, tra le tante, le merci raccolte nelle campagne. Situazioni di sfruttamento legalizzato in cui i lavoratori, per la maggior parte immigrati, vivono gli stessi meccanismi di esclusione e di isolamento rispetto alle condizioni di lavoro, abitative e nell’accesso ai servizi, aggravati dalle leggi sull’immigrazione che di fatto hanno istituito il reato di disoccupazione. Tale processo di segregazione e di totale negazione dei bisogni è tollerato e sostenuto dalle istituzioni, locali e nazionali, poiché funzionale ai cicli produttivi ed ai rapporti clientelari territoriali.

Obiettivo dell’iniziativa, e delle realtà che vi parteciperanno, è quello di mettere in rete, attraverso gli interventi nel territorio, pratiche di lotta e vertenziali dei lavoratori. Caporalato e sistema cooperativistico costituiscono due facce della stessa medaglia che mira a massimizzare i profitti di pochi speculando sulla difficile condizione in cui le persone versano nella vita quotidiana.

Affinchè le lotte abbiano successo è inoltre necessario un pieno supporto da parte di chi usufruisce dei prodotti della grande distribuzione: è importante conoscere e combattere la filiera di sfruttamento che si nasconde dietro ogni scaffale dei centri commerciali!