IL LABORATORIO INFORMATICO

LABORATORIO INFORMATICO

La nostra società ha bisogno di libertà. Quando un programma, un software, un sistema operativo ha un proprietario, l’utilizzatore (user) perde la libertà di controllare parte della sua vita. Quindi il controllo che avviene sul software costituisce un controllo anche sulla nostra vita e per questo rende più difficile la crescita e la conoscenza delle persone sulle cose informatiche e nei saperi della logica digitale. Pagare per un software o per dei byte è come pagare l’aria che respiriamo ….

Campagna LUCI SU ROSARNO

luci-su-rosarnoA Rosarno, come in diverse altre parti d’Italia, la bicicletta rappresenta spesso l’unico mezzo di trasporto per molti immigrati che lavorano nelle campagne.

Gli incidenti, anche mortali, che coinvolgono i lavoratori immigrati, sono purtroppo molto frequenti. A tal proposito, attraverso l’intervento che larete campagne in lotta sta portando avanti nel territorio della Piana di Rosarno, da gennaio a marzo, con Africalabria, come Ciclofficine Popolari Romane, stiamo organizzando una raccolta di materiale per la sicurezza stradale, luci, fratini catarifrangenti e catarifrangenti da portare ai braccianti di Rosarno, ma anche kit di riparazione gomme (tip top, mastice e caccia copertoni), camere d’aria e copertoni. E’ stato anche lanciato un appello a tutti coloro che vogliono partecipare all’intervento nella Piana di Rosarno; per dettagli vedi o contatta: CICLOFFICINE POPOLARI ROMANE www.ciclofficinepopolari.it/ RETE CAMPAGNE IN LOTTA www.campagneinlotta.org AFRICALABRIAwww.africalabria.org/

 

 

Invitiamo tutte e tutti a sostenere la campagna “Luci su Rosarno” lasciando in ciclofficina un contributo economico per sostenerne le spese o portando materiale catarifrangente che noi consegneremo direttamente ai braccianti.

OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA

La campagna “Luci su Rosarno” è un progetto nato dalla collaborazione tra la “Rete delle Ciclofficine Romane” e dalla rete “Campagne in Lotta”. Obiettivo del progetto è sia quello di portare un aiuto materiale ai braccianti delle campagne che circondano Rosarno e che usano la bicicletta come mezzo di spostamento, sia riportare l’attenzione sulla situazione delle condizioni di vita e di lavoro di migliaia di persone che lavorano in quella zona. Inoltre, attraverso questa campagna la Rete delle Ciclofficine Romane cerca di costruire un primo progetto di livello nazionale che veda la collaborazione delle ciclofficine italiane per un obiettivo comune.

L’attività delle ciclofficine in questa campagna si sviluppa con varie forme di intervento sia a Rosarno che nella propria città e territorio:

– ciclofficina itinerante, cerchiamo di raggiungere i vari luoghi dove i braccianti vivono per portare loro un aiuto riguardo la manutenzione delle loro biciclette, loro unico mezzo di spostameto;

– informazione riguardo la sicurezza stradale, abbiamo preparato vario materiale informativo riguardo le regole del codice dalla strada per quanto riguarda la circolazione delle biciclette su strada in Italia che verrà letto loro durante le lezioni di italiano per migranti a cui partecipano e che verrà distribuito e spiegato durante gli interventi di ciclofficina itinerante;

– dotazione di catarifrangenti, le ciclofficine raccolgono e comprano materiale catarifrangente da portare e distribuire direttamente a chi si sposta in bicicletta e lo distribuiscono durante gli interventi di ciclofficina itinerante;

– distribuzione kit riparazione forature e materiale di prima necessità per piccole riparazioni;

– informazione, le ciclofficine utilizzano i propri mezzi di comunicazione per sensibilizzare ed informare i propri contatti sulla situazione dei braccianti e per diffondere i comunicati prodotti dalle associazioni dei lavoratori di Rosarno. All’interno di questa campagna la bicicletta per noi ciclofficine non vuole più rappresentare solo un mezzo di spostamento ma vuole assumere un nuovo ruolo. Per noi meccaniche e meccanici attivisti delle ciclofficine la bicicletta si trasforma in un mezzo per intervenire direttamente sul miglioramento delle condizioni di lavoratori, diventa un mezzo che permette di costruzione relazioni umane con chi è sfruttato in nome del profitto, con chi è emarginato e costretto a vivere al buio sui bordi delle strade lontano dalle nostre case, che è considerato dalla legge solo come un irregolare senza diritti e che è visto come un problema da risolvere quando lotta per rivendicare quella dignità che spetterebbe ad ognuno di noi. La bicicletta vuole essere per noi simbolo di emancipazione, comunicazione diretta e fratellanza fra popoli.

CICLOFFICINE POPOLARI ROMANE

LA STRADA E’ DI TUTTI (comunicato dei braccianti di Rosarno)

DSCN1262_rid-300x225

All’interno della campagna Luci su Rosarno della Rete Romana delle ciclofficine, giriamo il comunicato dei braccianti rivolto agli italiani:
LA  STRADA  è  DI  TUTTI

A tutti i cittadini e a tutti gli automobilisti.

Vorremmo avere la vostra attenzione su un problema che riguarda non solo Rosarno, ma tutta la Calabria e anche l’Italia. Come già saprete, le strade di Rosarno non sono in buone condizioni: sono dissestate, non illuminate, e mancano completamente di marciapiedi e piste ciclabili.
Queste condizioni stradali NON rappresentano la norma e favoriscono, insieme ad un comportamento sbagliato da parte degli automobilisti, situazioni di pericolo ed incidenti anche mortali : a maggior ragione, chiediamo che si presti più attenzione, da parte di voi automobilisti tanto quanto di noi pedoni e ciclisti, perchè tutti siamo esseri umani, cittadini ed utenti della strada, e perchè LA STRADA è DI TUTTI.
CI PIACEREBBE CHE ROSARNO DIVENTASSE UNA CITTA
DOVE POTERSI MUOVERE SENZA PAURA.

Grazie per la vostra attenzione e comprensione.

Ass. Africalabria Rosarno
Rete Campagne in Lotta
Rete Ciclofficine Popolari
Amnesty Palmi
Ass. Trama e Ordito
Ass. Nuovamente
Ass. Omnia

“Via Giulia, sì all’invasione di cemento” arriva l’ok dalle soprintendenze

Il via libera più importante è arrivato. Sul project financing di via Giulia, tutte le Soprintendenze sono d’accordo e, dai primi documenti che emergono dalla conferenza dei servizi, c’è il parere favorevole sia dell’Archeologica, sia dei Beni Culturali e Paesaggistici nonché il sigillo della direzione regionale.

Il progetto prevede sul lungotevere dei Tebaldi tra via Giulia, largo Perosi e via Bravaria: un albergo di lusso, decine di appartamenti tra i 45 e i 150 metri quadrati, un urban center e la musealizzazione dei reperti. Gli scavi non sono ancora terminati e dovrebbero durare almeno altri due mesi, dunque il parere della Soprintendenza Archeologica è legato all’esito delle indagini, tuttavia l’ok riguarda solo la sistemazione dei reperti e non il progetto di superficie e, dunque, la musealizzazione soddisferebbe in pieno le esigenze degli archeologici che lì hanno rinvenuto “i resti che costituiscano parte degli “stabula”, stalle per il ricovero dei cavalli utilizzati nelle competizioni – si legge nella relazione – Si ipotizza inoltre che la struttura, di età augustea, possa essere identificata come il “Trigarium” ovvero stalle per ricovero dei carri trainati da tre cavalli. Sono stati rinvenuti anche i resti di una struttura termale con pavimenti a mosaico e basoli appartenenti ad un antico tracciato”.

La Cam, la società che doveva realizzare i parcheggi e che ha proposto il nuovo progetto, ha chiesto di gestire l’area dei reperti per 45 anni acquisendone i

profitti. “Così la ditta oltre ai guadagni favolosi, derivanti da migliaia di nuovi metri cubi realizzati in pieno centro storico, riuscirebbe a lucrare anche sui reperti archeologici – attacca Nathalie Naim, consigliere del Municipio I che ha acquisito le carte  –  Rimango sconcertata dal parere positivo espresso delle Soprintendenza e spero che gli altri uffici non approvino questo progetto che non risponde ad alcun bisogno dei cittadini”.

Gli edifici che saranno realizzati sono cinque e verranno costruiti lasciando un minimo distacco dai palazzi esistenti. Nella relazione si annuncia che non verranno rispettate le distanze minime previste dal Piano regolatore e dalle leggi vigenti. La ditta si giustifica motivando che occorre l’utilizzo al massimo dell’area per costruire e che “la nuova edificazione è guidata dalle giaciture delle preesistenze demolite così come risultano dal vecchio catasto e dalle fonti d’archivio. È evidente, pertanto, che non è possibile in questo caso rispettare i distacchi minimi fissati dal Piano regolatore e dalle altre normative vigenti. Sarebbe inoltre un errore dare alle traverse di via Giulia una larghezza maggiore della strada principale disequilibrando tutto il sistema”.

I palazzi avranno, però, un aspetto moderno con una struttura di cemento armato con i reperti archeologici utilizzati come decorazioni su alcune facciate. Di più. I locali al piano terra saranno utilizzati per “l’incontro, la ristorazione e il tempo libero” allo scopo di vivacizzare l’area e attrarre avventori. Il ristorante dell’albergo da 70 coperti interni, oltre all’uso degli spazi esterni, potrà essere aperto al pubblico mantenendo una gestione privata. “Ciò contribuirà a portare la vita notturna e traffico nella finora tranquilla via Giulia e nella vicina piazza della Moretta – conclude Naim – aggravando anche il problema della sosta selvaggia. Si fermi lo scempio e si realizzi il bel progetto di Deiner che ricuciva gli spazi in via Giulia con una quinta arborea”.

Da Repubblica.it

ATTENZIONE, QUESTA è UNA SPECULAZIONE!

Il Parco Kolbe fa parte del progetto “Punti Verde Qualità”, un accordo che dal 1995 fà parlare di sè per la scandalosa gestione dei fondi e degli spazi pubblici portata avanti in maniera bipartisan dalle varie amministrazioni Rutelli, Veltroni ed Alemanno. I punti verdi, come afferma la delibera 169/95, sono concessioni comunali gratuite di aree verdi ad imprese private della durata di 33 anni, per la progettazione e realizzazione di attività commerciali in cambio della manutenzione e “rivalorizzazione” dei siti. Da 18 anni ad oggi il Campidoglio ha firmato più di 600 milioni di euro di fideiussioni (garanzie) alle banche che hanno finanziato i progetti delle ditte, coprendo il 95% dei costi totali necessari ai lavori nei “Punti”. La situazione ad oggi è una fotografia che dice tutto: su 67 concessioni solo 17 sono “completate”, 9 in via di realizzazione, 16 in fase di progettazione e 20 bloccate in attesa di ricollocazione. Di queste 19 sono sotto inchiesta, con tanto di arresti degli architetti comunali Stefano Volpe e Maria Parisi e gli imprenditori Massimo Dolce e Marco Bernardini, arrestati con l’accusa di truffa, corruzione e falso per aver ottenuto le aree pagando tangenti ai funzionari del Comune; tra essi anche Visconti, dirigente del X dipartimento ambiente preposto alla vigilanza sulle aree.

Nel V Municipio ci sono tre PvQ: uno a San Basilio, il cui concessionario è Fabrizio Moro, non a caso titolare di ben 4 “Punti”, dove, come un’oasi nel deserto, sorge un centro sportivo con palestra, piscina, campi da calcetto e ristorazione con prezzi difficilmente sostenibili dai più; il secondo è il Parco Feronia a Pietralata, abbandonato a sè stesso dopo una storia fatta di fatture gonfiate, lavori mai finiti e morosità delle ditte coperta dai fondi pubblici; il terzo è proprio quello del Kolbe.

Gli intrecci del Kolbe con gli altri “Punti” sono molteplici, a partire dalla società concessionaria dei lavori, la Edil House 80, che è in stretti rapporti con la dirimpettaia del Parco Feronia, la Luoghi del Tempo Srl. Andrea Munno, l’imprenditore-ombra che ha gestito l’affare, oltre ad avere nel curriculum precedenti per bancarotta fraudolenta, è il ritratto di un sistema che ha le sue radici in Campidoglio e che, negli ultimi anni,ha strizzato l’ occhio all’ estrema destra nelle cui fila è cresciuto anche il primo cittadino: non a caso è stato militante dei “Nuclei Armati Rivoluzionari” e carcerato insieme ad Alemanno. Nella fattispecie la Edil House 80 è sospettata di aver emesso fatture per 8 milioni di euro di lavori non corrispondenti a realtà e di avere dei significativi problemi di morosità con i mutui concessi dagli istituti di credito e garantiti dal Comune, la cui entità, per volere delle stesse banche Credito Cooperativo e Credito sportivo, non è data sapere. Inoltre l’area circostante il centro fitness, dove prima sorgeva un campo da calcio e un’area verde abbandonata, è stata interamente chiusa e recintata, tanto che la notte è stato impedito persino il passaggio pedonale tra la fermata della metro e via di Casal dè Pazzi. E’ inaccettabile che il Comune garantisca credito illimitato a soggetti che poi scaricano sulla comunità i costi dei loro profitti e, assumendo una veste di “proprietari” delle aree che gestiscono come quella del Parco Kolbe, credono di poter fare il loro comodo costruendo parcheggi e recinzioni simboli dei loro inganni.

Come se non bastasse, il nostro quadrante è interessato da imminenti nuove manovre speculative in relazione al prolungamento della metro B da Rebibbia a Casal Monastero, di cui parte del costo totale di 556 milioni di euro dovrebbe essere coperto tramite la “valorizzazione” di alcune aree del V municipio, ovvero lo smantellamento dei parcheggi di Rebibbia (ampliato nel 2010 con 3 milioni di euro), S. Maria del Soccorso e Monti Tiburtini per la realizzazione di grattacieli alti 25 piani. L’ennesima cementificazione in un municipio dove essa raggiunge già il 60 % della superifice totale. Speculazioni edili che, oltre a intaccare un territorio già saturo, non creeranno nulla di diverso da impiego lavorativo precario senza sicurezza e abitazioni a costi esorbitanti, in aggiunta agli altri 200.000 immobili vuoti già presenti in città.

Siamo stanchi di inchinarci alle truffe di privati e amministrazioni che, dietro una facciata di servizi sempre più costosi come quello del centro fitness o della nuova metropolitana, perseguono solo gli interessi del loro portafogli. Il degrado non si combatte a colpi di cemento e milioni di euro, ma con le proposte e l’azione delle persone che vivono un territorio e conoscono i suoi problemi, le sue criticità e i suoi veri bisogni. Difendiamo i nostri spazi, non lasciamo che i faccendieri di turno in nome del soldo siano padroni di ciò che appartiene a tutti!

Coordinamento per la Tutela del Parco di Aguzzano – Osservatorio contro la devastazione ambientale

“Ma in carcere, Babbo natale, da dove entra?”

 

No, dico, c’è da chiederselo, e per quanto si possa essere di uno o dell’altro bando, voglio dire di quello di Babbo Natale o di quello della Befana il quesito non cambia, anzi, caso mai diventa al quadrato.

Il camino è chiaro che non c’è, per quanta magia abbia in sé il Natale (con inclusione dell’Epifania) le sbarre alle finestre non si squagliano, il vigile perimetro carcerario non si lascia infinocchiare dalla bontà delle renne e del festoso canticchiare dei campanelli e comunque, anche volendo passare per via ordinaria, nel pieno rispetto delle procedure e dei tempi a cui si costringono i visitatori non credo che l’allegro panzone, rosso vestito, avrebbe il nulla osta per i pacchi e pacchetti difficilmente perquisibili.

Comunque per non mettere freno alla mia curiosità gli ho scritto una lettera. Non lo facevo da una ventina di anni (be’ lo confesso, ho smesso tardi di credere alle favole e sinceramente a qualche bella utopia ci credo ancora e col cuore pieno) ma mi è venuta voglia e ho scritto a Babbo Natale.

Non gli ho chiesto nessun regalo ovviamente ma gli ho sollevato la questione di come avrebbe fatto, insieme alla Befana, a consegnare i doni alle bimbe e ai bimbi in carcere.

Non ho ricevuto risposta e non mi sorprende….certo, lui di solito non scrive, quindi ho pensato che magari mi consegnerà la risposta proprio la notte magica in cui tutto è possibile, anche pensare che bimbe e bimbi e le mamme di cui hanno bisogno non debbano, senza se e senza ma, stare in carcere.

Mi chiedo però se sarà cosi netto da rispondermi che basterebbe applicare le leggi già esistenti affinché le mamme condannate non debbano stare in carcere con i loro cuccioletti. Vedeste che belli che sono questi nanetti! Poteste sentire la rabbia e lo sconcerto che ho sentito io la prima volta che ho visto tante piccole bellezze sgambettare attaccandosi alle sbarre, o sentire il morso allo stomaco che mi ha ferito sentendo il pianto, mentre lo immaginavo in braccio alla mamma che provava a calmarlo girando in tondo nella cella da cui non poteva farlo uscire. Poteste sentire le urla e lo spavento quando portano via un bimbo, dalla sua mamma perché compiuti i tre anni deve essere così…

Mi chiedo se Babbo Natale sarà temerario abbastanza da continuare ad affaticarsi anche dopo che l’onda bonaria delle festività sarà passata per avere un giorno la soddisfazione di portare regali ai bimbi che con le loro mamme non dovrebbero più sopportare le privazioni di libertà imposte dalla giustizia. Magari sì, lo sarà e presto le bimbe e i bimbi non dovranno più vedere i nonni o la sorellina solo qualche ora al mese, né rientrare in carcere finita l’uscita con i volontari, né dovranno più credere alla bugia che soffrire faccia parte di un gioco a cui la mamma non si può sottrarre o quell’altra per cui, se Babbo Natale non viene è perché dalle sbarre non passa. Magari presto non saranno più costretti a confondere il tintinnio delicato delle chiavi che li rinchiudono la sera e gli apre il blindo la mattina con quello, magari presto vero, della slitta di Babbo Natale.

una detenuta del carcere di Rebibbia

La “Bancarella sprigionata” (vista da “dentro le mura”)

Il progetto è nato da una causa strettamente contingente: la diminuzione dell’orario di lavoro per molte detenute che ha comportato una notevole riduzione delle già poco sostanziose entrate mensili. Ci siamo poste il problema di come affrontare l’ennesima stretta a spese di chi non ha altre alternative per non gravare sui propri familiari. Ci siamo così confrontate e unendo l’ingegno al materiale riciclato e raccolto, ognuna con le proprie capacità, siamo riuscite a far uscire dalle nostre mani i prodotti che vedete qui esposti. Alla mera, ma necessaria, contingenza economica si è unita fin da subito però la volontà di fare in modo che il progetto fosse un’esperienza condivisa fra tutte, che ciò che se ne ricavava fosse diviso in parti uguali per superare una logica personale in un’ottica di cooperazione e collaborazione, dove il lavoro di una è quello di tutte.

La bancarella con i nostri manufatti ci offre la possibilità di sentire di far parte di una realtà dalla quale siamo state escluse, ci lega alla vita di fuori e in qualche modo parla di noi.- Ogni oggetto dal pupazzo al cappellino è il frutto delle mai e del pensiero di chi vive qua dentro e ci piace pensare che le risate condivise nella preparazione si siano trasmesse su questi lavori ed escano da qui e finiscano nelle vostre case, a testimonianza delle nostre vite vive.

Ci piace l’idea che la bancarella occupi un posto all’interno di uno spazio che tante persone, diverse tra loro, non vogliono cedere a nuovi muri, a nuovo cemento, a nuove sbarre.

Ci piace pensare che chi vi gravita colga il senso dell’inumana ingiustizia di una reclusione, della mostruosa aberrazione di un corpo rinchiuso, ancor più se di bambino. Ci piace pensare che si possa lottare contro la costruzione di un nuovo carcere, contro l’appropriazione dall’alto di un parco di tutte e tutti per renderlo un luogo di sofferenza, di privazione, di alienazione perché altro non sarebbe; perché altro non è un carcere.

E chi è dentro sente battere forte il cuore quando pensa che un passo è stato fatto in questa direzione.

Perché il carcere non è la soluzione.

Le detenute della sezione AS del carcere di Rebibbia

Materiali per la bancarella sprigionata

2012-12-09 11.25.00

Lista di cose necessarie al progetto della Bancarella Sprigionata:

Rocchetto di filo sottile in nylon per bigiotteria (collanine, braccialetti etc…).
Perline, pietre colorate (di piccola dimensione) etc…
Materiale per imbottiture.
Stoffe.
Lane.
Gomitoli di cotone.
Materiale per imbottitura rigida (per confezionare borse).
Ritagli di pelle o simili.
Lacci colorati.
Bottoni.
Cerniere.

Nasce la bancarella sprigionata!

20121201_120333-800x800

Il Coordinamento per la difesa del parco di Aguzzano si è formato nel gennaio 2012 dopo la notizia di una probabile opera di speculazione che interessa uno dei casali presenti all’interno del parco (Alba2). Il progetto, a firma del Ministero di Giustizia, prevedeva all’interno del casale la realizzazione di un I.C.A.M. cioè Istituto a Custodia Attenuata per Madri detenute con figli fino a tre anni di età. Ci siamo incontrati ed attraverso delicate e controverse discussioni abbiamo analizzato il progetto nelle sue mille sfaccettature.

Il progetto specifico prevede mura di cinta alte quattro metri, una strada carrabile illuminata a giorno, vigilanza armata, deposito d’armi, 16 telecamere. Un carcere in formato ridotto, insomma. Un luogo isolato dal quartiere nel quale isolare le madri con i loro piccoli. Nulla che possa quindi davvero ovviare al terribile impatto psicologico e alle gravissime relative conseguenze di una detenzione subita in tenerissima età. Siamo quindi arrivati a condividere il principio che un bimbo non può crescere rinchiuso tra quattro mura (seppur oltre quelle mura ci sia un intero parco!) identificando la propria madre con una condizione di reclusione né che la relazione affettiva ed educativa possa passare attraverso la mediazione di un regime militare e di chi lo pone in essere.

E’ da qui che noi del Coordinamento per la difesa del parco di Aguzzano abbiamo iniziato a ragionare e parlare di carcere….

Quegli ignoti vicini di casa

.ci siamo resi conto di quanto a noi sconosciuto sia il mondo rinchiuso dentro quelle mura, nonostante il carcere di Rebibbia rappresenti (anche solo per la grandezza della sua mole) una presenza importante nel quartiere.

La crisi attuale ci coinvolge tutti “dentro” e “fuori”.

Alle recluse e ai reclusi ha comportato una drammatica riduzione sia delle opportunità di lavoro all’interno delle mura che dell’ammontare di ore giornaliere lavorative a fronte di uno stipendio (detto “mercede”) già di per sé esiguo.

La ovvia conseguenza è un netto peggioramento delle condizioni detentive che si va ad aggiungere ai gravi problemi di vivibilità determinati dal sovraffollamento, un dato reale riconosciuto ormai da tutti.

Accorciamo le distanze

Abbiamo quindi voluto dar voce alle detenute lì rinchiuse, accogliendo la loro proposta di ospitare la “Bancarella Sprigionata”. Un modo, il nostro, per esprimere solidarietà concreta a chi, con la sola forza di volontà e creatività, intende reagire e sollecitarci a tenere stretto tra le nostre mani l’altro capo di quel filo che non trova ostacoli nelle mura circondariali dei penitenziari.

Gli oggetti esposti sono tutti manufatti delle detenute e per la loro

realizzazione sono stati usati esclusivamente materiali riciclati.

Per stabilire contatti, ricevere la Newsletter o partecipare scrivere a:

coordinamentoparcoaguzzano@inventati.org