

Allo scoccare del 104esimo giorno di sciopero della fame, Alfredo Cospito ha perso più di 40 chili. Viene trasferito dal carcere di Bancali, in Sardegna, a quello di Opera, a Milano, dove è presente un presidio sanitario che possa intervenire in caso di necessità. A maggio 2022, mentre scontava il suo decimo anno di carcere, Alfredo è stato rinchiuso in una cella di un metro per due (letteralmente), con isolamento rigido, azzeramento dei contatti con l’esterno, divieto di appendere foto sui muri, un solo colloquio mensile dietro al vetro, socialità e ore d’aria praticamente inesistenti. Ha iniziato a rifiutare il cibo per protestare contro il 41 bis, il regime carcerario a cui è sottoposto, e l’ergastolo ostativo, una tipologia di pena che non fa accedere a permessi, sconti, benefici. Di fatto, una condanna alla reclusione fino alla morte. Cospito, in sostanza, dovrebbe trascorrere il resto dei propri giorni segregato in una specie di spazio tombale.
Il dibattito pubblico, in questi giorni, sta producendo fiumi di inchiostro sulla vicenda. C’è chi dice che lo Stato italiano non si possa piegare alle minacce di un pericoloso detenuto, c’è chi tuona contro chi dimostra solidarietà al suo sciopero, c’è chi escogita ipotetiche organizzazioni internazionali che vorrebbero portare un attacco frontale alla Repubblica italiana. Lo Stato, si dice, non può lasciarsi intimidire. Ma le cose stanno davvero così?
Potremmo dilungarci a lungo sul fatto che Alfredo Cospito, pur non avendo ferito nessuno alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano nel 2006, è accusato di un reato, strage politica, che non è stato applicato neanche per le stragi di Capaci e Piazza Fontana. Potremmo chiederci perchè Alfredo Cospito è sottoposto a un regime di 41 bis, per definizione finalizzato a recidere I contatti con l’esterno, ma all’esterno non c’è nessuna organizzazione da lui diretta. Potremmo chiederci, come ha fatto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, se il 41 bis e l’ergastolo ostativo siano forme di tortura che violano I diritti umani, e risponderci di si.
Invece, preferiamo porci, e porre, alcune semplici domande.
E’ legittimo che Alfredo Cospito muoia in 41 bis? E’ possibile che uno Stato “democratico” si giri dall’altra parte mentre un detenuto si lascia morire all’interno di una delle sue carceri? La collettività può tollerare che, in diretta televisiva, continui la lunga striscia di sangue che solo nel 2022 ha contato 83 suicidi negli istituti di pena del Bel Paese?
Alfredo ha avuto il merito di far emergere tutte le contraddizioni di questa storia. Di un Paese che si batte il petto quando si parla dei diritti umani degli altri, ma che ipocritamente non vuole guardare dentro i propri confini. Capi di governo, ministri, giuristi, intellettuali e giornalisti che invocano la “ragion di Stato” fino alla morte sono inquietanti. Ma soprattutto: tutti e tutte noi siamo convinti e convinte che, insieme a Alfredo, non morirebbe anche la nostra dignità collettiva?
Non c’è più tempo. Sabato dalle 16 ci vediamo in piazza Vittorio.