Come nostra abitudine, ci siamo presi un po’ di tempo per prendere parola su quanto sta accadendo intorno a noi e nel mondo intero rispetto alla pandemia da coronavirus. La situazione è estremamente complessa e di vaste proporzioni; gli effetti si riversano capillarmente su ogni territorio, anche sul nostro. Precisiamo che, sin da subito, abbiamo sospeso le attività del Casale Alba 2, anche prima che i decreti governativi lo imponessero. Autogestione significa anzitutto responsabilità: difendere la salute della nostra comunità è prioritario su qualsiasi altra attività. Ed è con lo stesso spirito che ci siamo attivati, insieme alla rete sociale del nostro territorio (Comitato Mammut e Forum per la Tutela del Parco di Aguzzano) con iniziative di solidarietà: la spesa per chi è in difficoltà, lo streaming dei film online, i tutorial dei laboratori del Casale. Ma la solidarietà, esattamente come restare a casa, non basta. E’ necessario, pur nella poca lucidità del momento, leggere a fondo gli avvenimenti, ragionare sul ruolo di ognuno e ognuna di noi, individualmente e collettivamente. Di seguito alcune riflessioni, parziali e non esaustive, sul nuovo contesto in cui ci troviamo.
#iorestoacasa ma… la salute?
Partiamo, come ovvio, dal tema della salute. Nel nostro territorio abitano tanti e tante che lavorano nel settore della sanità. Inevitabile il ringraziamento e l’apprezzamento per quanto si sta facendo negli ospedali di tutta Italia. Nelle numerose iniziative tenutesi al Casale sulla sanità abbiamo più volte ribadito la necessità di un diritto alla salute universale e gratuito, che permetta di coniugare un servizio di qualità con la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Altrettante volte, purtroppo, ci siamo trovati a denunciare i continui tagli alla sanità pubblica, gli incentivi alla sanità privata, le vergognose condizioni in cui lavorano gli operatori, le parimenti indegne modalità con cui vengono erogate prestazioni e assistenza agli utenti. La Regione Lazio, esattamente come il resto del Paese, ha visto un progressivo, doloso smantellamento della sanità pubblica per favorire cliniche convenzionate, ambulatori privati, intramoenia. Quanti di noi per una visita, un’operazione, un prelievo si sono spesso visti costretti a scegliere una struttura privata piuttosto che una pubblica, pagando cifre nettamente superiori per non aspettare tempi lunghissimi? Ecco, questa problematica ha dei mandanti ben precisi, i “signori della sanità” interessati a disincentivare le strutture pubbliche per lucrare profitti sulla salute della collettività con le proprie cliniche. Un processo avallato e sostenuto, in maniera bipartisan, da quella stessa classe politica che oggi piange lacrime di coccodrillo e chiama “eroi” chi sta combattendo, nel vero senso della parola, il coronavirus. Gli “eroi” sono le migliaia di lavoratori e lavoratrici, spesso precari (e dipendenti di cooperative private), che, già prima di questa devastante epidemia, ogni giorno vivevano una continua emergenza nelle corsie degli ospedali. E che ora si trovano, con pochissime tutele, ad affrontare non solo il virus, ma soprattutto la mancanza di terapie intensive, di attrezzature, di protezioni, di organizzazione. Il coronavirus sta evidenziando, tutte insieme, le conseguenze di decenni di scelte folli in materia di sanità. Tradotto in termini pratici, nel caso della Lombardia, questo significa dover scegliere chi curare e chi no, chi può essere intubato e chi no, in sostanza chi deve vivere e chi no. Se toccherà a noi, considerata l’eccellenza della sanità lombarda, sarà anche peggio. E’ medicina della catastrofe, sono i protocolli. Ma in questa situazione ci siamo arrivati per colpa di decisioni politiche ben precise, che continuano anche in questa fase (si vedano l’ospedale Columbus di Roma e il nascituro ospedale alla Fiera di Milano, entrambi privati; oppure i contratti precari di un anno offerti a centinaia di giovani infermieri per buttarli senza esperienza nella mischia dei reparti Covid come fossero carne da macello). Non dimentichiamocelo, soprattutto quando questa storia sarà finita, il sipario calerà e gli “eroi” di oggi potrebbero tornare, come ieri, ad essere descritti come gli operatori scansafatiche di una sanità pubblica mal funzionante che deve gioco forza lasciare il passo ai privati.
#iorestoacasa ma… operai, facchini, riders, corrieri?
Per evitare il contagio del virus ed il collasso di un sistema sanitario già duramente provato, le autorità stanno obbligando la popolazione a restare dentro casa, instaurando un controllo sempre più stringente sul rispetto dei decreti che si susseguono di giorno in giorno, arrivando persino all’impiego dei droni e dei sistemi di tracciamento. Dall’inizio della pandemia abbiamo assistito ad una rapida escalation di divieti, fino alla chiusura totale persino dei parchi e la (quasi) impossibilità di svolgere attività fisica individuale. #noirestiamoacasa e siamo d’accordo, ma… siamo sicuri che si stia facendo di tutto per fermare questa pandemia? Non entriamo nel merito della questione epidemiologica perché non siamo scienziati, però possiamo dire che i contagi all’aperto sono molto più rari e che, rispettando le dovute distanze, sia possibile frequentare in sicurezza spazi aperti. A livello di contagio è molto più pericolosa una fabbrica, dove è fisicamente impossibile rispettare le distanze di sicurezza. O l’androne di un palazzo, dove i rider e i corrieri continuano a consegnare hamburger e pizze a domicilio. Per settimane, anche nelle zone più colpite, gli appelli dei politici e degli industriali e hanno invitato la popolazione a non fermarsi, ad andare a cena fuori o fare shopping. Si è continuato a lavorare nelle fabbriche, nei magazzini, in una miriade di piccole e grandi aziende dove, complici le fallaci misure di sicurezza, il virus ha continuato a viaggiare indisturbato. Da lì si è passati in pochi giorni, con colpevole ritardo, alla stretta (quasi) totale. Solo negli ultimi giorni si parla di stop alle attività produttive non necessarie, ma ancora si ricomprendono in questo campo tante, troppe attività che di necessario hanno ben poco. La mappa dei contagi e quella della concentrazione di imprese manifatturiere italiane coincidono in maniera preoccupante. Che senso ha, dunque, chiudere i parchi e accusare i runner di turno se poi nei luoghi maggiormente esposti non si prendono decisioni ben più importanti? Si devono forse preservare gli interessi di qualcuno piuttosto che la salute di tutti? Sono domande che non possono certo trovare risposte in coloro che, per salute o per piacere, hanno frequentato Aguzzano come tanti altri parchi nella città e nel Paese nelle ultime settimane e che sono stati additati come la principale causa di diffusione del contagio.
#iorestoacasa ma… i detenuti e le detenute?
Altro esempio di luoghi pericolosi per il contagio sono le carceri. In queste settimane, anche nel carcere di Rebibbia, sono esplose le proteste di chi, per ovvi motivi, non ha fisicamente la possibilità di rispettare le distanze di sicurezza prescritte. Anziché vagliare la possibilità di far uscire una buona fetta di detenuti e detenute tramite amnistia, indulto o pene alternative, la risposta del governo è stata la prova di forza con decine di morti lasciate sul “campo di battaglia” e i primi casi di contagio all’interno dei penitenziari. Negli ultimi decreti sono contenute disposizioni di pene alternative per pene fino a 18 mesi, ma subordinati alle decisioni dei tribunali di sorveglianza, con tempi che andranno ben oltre la fine dell’emergenza. Gli ultimi degli ultimi, repressi e abbandonati a sé stessi in una situazione così delicata. E la criticità non riguarda solo chi è recluso nella struttura. Dove pensiamo che vivano le centinaia di persone che lavorano, ad esempio, all’interno del carcere di Rebibbia? Se si sviluppasse un focolaio, quante persone verrebbero contagiate da coloro che quotidianamente entrano ed escono dal penitenziario? Il virus ha temporaneamente posto la salute in cima alla scala delle priorità. Ma la scala, varcata la soglia di un carcere o di una fabbrica, a quanto pare si annulla.
#iorestoacasa ma… l’ambiente?
Il rischio più grande è che da questa terribile vicenda non impareremo nulla. Come non abbiamo imparato nulla dalle decine, centinaia, migliaia di piccole e grandi catastrofi naturali che hanno caratterizzato la storia recente del pianeta. Ogni volta che ci troviamo di fronte a un terremoto, uno tsunami, un’esondazione, la retorica è sempre la solita: fatalismo, unità nazionale, dichiarazione di emergenza, grandi speculazioni. Non si può prevedere, non è colpa di nessuno. Anche nel caso del virus, questa, che viene presentata come una verità assoluta, è vera solo in parte. Negli eventi naturali l’essere umano svolge sempre un ruolo non indifferente. Il cambiamento climatico influisce sul passaggio del virus dall’animale all’uomo, sulla sua diffusione, sulle sue caratteristiche e modificazioni, sulla fragilità dei nostri polmoni. In questi giorni di lockdown i livelli di inquinamento sono decisamente calati a livello planetario. Ma cosa succederà quando l’emergenza sarà terminata? Torneremo a disinteressarci della questione ambientale perché la ripresa economica richiederà grandi sacrifici anche alla natura? Crederemo a chi, sempre per interessi economici, accuserà l’opposizione al cambiamento climatico di fermare il “progresso”, la “crescita”, la ripresa economica? Il virus avrà conseguenze devastanti dal punto di vista economico, ma potrebbe anche essere l’opportunità per, finalmente, mettere un punto alla squallida scelta tra ambiente e lavoro, tra lavoro e salute. Nel nostro territorio da più di 30 anni c’è una comunità che difende con determinazione il polmone verde di Aguzzano da attacchi, speculazioni e cementificazioni: non bisogna ricordarsi di tutelare il pianeta solo quando fa comodo o quando accadono le catastrofi, è un processo da portare avanti ogni giorno contro piccole e grandi devastazioni ambientali. Senza, allo stesso tempo, dover accettare il ricatto del lavoro e della ripresa economica: la questione climatica non può, e non deve, restare esclusa dal dibattito sul dopo-virus.
#iorestoacasa ma… chi pagherà per la pandemia?
Concludiamo con uno spunto proprio su cosa accadrà dopo il coronavirus. Ad oggi non è possibile fare previsioni sulla fine dell’epidemia. Molte persone, però, sono già in difficoltà economica; altre, purtroppo, ci si troveranno a breve. Presto il problema non sarà più chi, quando o come andrà a fare la spesa, ma con quali soldi pagherà alla cassa. Le misure economiche del Governo italiano e dell’Unione Europea sono, con ogni probabilità, assolutamente insufficienti ad affrontare l’enorme crisi che seguirà a questa epidemia. E le stesse autorità italiane ed europee hanno già messo in chiaro che qualsiasi sforamento di bilancio è subordinato ai piani di rientro. Le associazioni industriali, in cambio della serrata temporanea, stanno contrattando incentivi cospicui per le (grandi) imprese che riusciranno a sopravvivere. Tradotto: finita l’emergenza, i costi saranno scaricati sulla collettività, su lavoratori e lavoratrici, su chi un lavoro non ce l’ha o non ce l’avrà, sul grande mosaico di piccole e medie imprese del Paese. Ma chi ha deciso che questa sia l’unica via percorribile? Chi l’ha detto che debbano essere sempre i soliti a fare sacrifici in nome dell’unità nazionale, del “ce lo chiedono i mercati”? Hanno deciso per caso quegli stessi che hanno permesso la diffusione il virus in nome del profitto, quel sodalizio tra classe politica e grandi industriali che ha le mani sporche di sangue?
#iorestoacasa ma… La realtà va osservata a 360°. Per intere settimane dall’inizio della quarantena le istituzioni locali e nazionali sono state completamente assenti nell’espletamento di servizi fondamentali come l’assistenza domiciliare agli anziani, agli immunodepressi, alle famiglie in difficoltà. Non si riescono a fare i tamponi, non si ha idea del reale numero di contagiati, non c’è chi fa la spesa agli anziani, non c’è assistenza per chi è in difficoltà, 1 contagiato su 10 è un sanitario, mentre le strade sono piene di militari, droni e polizia. Il Comune di Roma è del tutto carente nei servizi e, anzichè promuovere la solidarietà in un momento così difficile, incita alla segnalazione del runner di turno. La Regione Lazio continua a regalare fondi pubblici alla sanità privata. Non sono polemiche, è la realtà dei fatti. E i conti non tornano.
Il nostro pensiero va a tutti e tutte coloro che stanno soffrendo, a chi ha perso una persona cara, a chi sta lavorando giorno e notte per garantire assistenza ai malati e servizi alla collettività. A chi è recluso in un carcere, a chi una casa non ce l’ha, a chi ha perso o perderà il lavoro, a chi è vittima di violenza domestica e si ritrova h24 a convivere con i soprusi. A chi ancora è costretto a lavorare in una catena di montaggio, in un magazzino di spedizioni o su una bicicletta per consegnare pasti comandato da un’app.
Non sappiamo dove ci porterà questa pandemia, le domande su ciò che accade sono molte più delle risposte. Ma possiamo continuare a ragionare, come al Casale abbiamo sempre fatto, in maniera plurale, condivisa, collettiva. Non disperdiamo il nostro senso di comunità, non ci facciamo schiacciare dall’individualismo egoista.
#iorestoacasa ma… andrà tutto bene solo se andrà bene per tutti e per tutte.
L’assemblea del Casale Alba 2