Negli ultimi mesi è in discussione in Parlamento una proposta di legge bipartisan, proposta da Antonio D’Alì per Forza Italia-Pdl con relatore Enrico Borghi del Pd, che intende modificare la “vecchia” legge sui parchi e le aree protette: la n.394 del 1991. Tale norma, benché tutt’altro che perfetta visti gli scempi in numerose aree protette e la mancata istituzione di molti parchi, rappresenta un’importante punto fermo nel campo della tutela ambientale, con una quota del 10% del territorio nazionale sottoposto, almeno sulla carta, a tutela. Per dare un’idea, parliamo di 871 aree protette totali, tra cui 24 Parchi nazionali, 27 Aree Marine protette, 48 Riserve naturali statali, 134 Parchi naturali regionali, 365 Riserve naturali regionali. Tra cui Aguzzano, Parco Regionale Urbano con riserva naturale orientata.
La proposta di legge 4144 contiene una serie di modifiche alla 394. Varie le criticità della proposta di riforma, tra cui allentamenti nei vincoli sulla tutela della fauna (alias caccia e bracconaggio) e sulle aree marine, difficoltà nell’istituzione di nuovi parchi, ma soprattuto due aspetti fondamentali: la rendita economica delle aree verdi e la loro gestione da parte degli enti locali.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, siamo sostanzialmente di fronte all’istituzionalizzazione, su base nazionale, del sistema Punti Verde Qualità di Roma, dramma di cui la nostra città sta ancora pagando le conseguenze, come abbiamo più volte denunciato anche con il Nodo Territoriale Tiburtina. Tale sistema prevede la messa a profitto dei parchi, la cui funzione principale non sarà più dunque la tutela del verde ma la sua rendita economica. Citando I relatori del testo di legge: “…Mantenendo le finalità fondamentali di tutela dei valori naturalistici e ambientali, storici, culturali e antropologici tradizionali, il Piano del Parco assume anche il ruolo di strumento con cui il parco può disciplinare iniziative economiche di valorizzazione del territorio, del patrimonio edilizio e delle attività tradizionali e agro-silvo-pastorali, nonché di turismo sostenibile… Attraverso il piano, il parco può inoltre disciplinare, nelle aree contigue, l’attività venatoria, estrattiva e la pesca….I parchi avranno inoltre la facoltà di imporre ai visitatori un ticket per i servizi offerti e di concedere a titolo oneroso il proprio marchio, di stipulare contratti di sponsorizzazione…”. Si rendono possibili, dunque, le solite operazioni di “valorizzazione” che, a dispetto degli intento di eco-compatibilità, sappiamo bene per esperienza in cosa si traducano: privatizzazione dei parchi, centri sportivi, mega complessi commerciali,ma anche trivellazioni, estrazione di materiali e devastazioni di ogni altro genere. Interventi per cui sono previste perfino delle compensazioni (!).
Per ciò che concerne, invece, il secondo aspetto, la gestione delle aree protette passerebbe in maniera quasi esclusiva agli enti locali. Un aspetto che, di per sè, non avrebbe nulla di problematico, anzi. Il nodo critico sta nel combinato disposto di questa norma con la modifica dell’art. 81 della Costituzione operata nel 2012 dall’allora governo Monti, con cui si è introdotto il pareggio di bilancio come norma di rango costituzionale. Un equilibrio tra entrate ed uscite, che risponde alle pressanti richieste dell’Unione Europea sui conti dell’Italia, a cui devono concorrere tutti I livelli di amministrazione, soprattutto gli enti locali. Questi si sono trovati nel giro di pochi anni con una disponibilità finanziaria estremamente ridotta, causa principale dei tagli in numerosi servizi essenziali. Alle proteste degli amministratori locali il governo centrale risponde sempre allo stesso modo: dismettere l’ingombrante patrimonio pubblico e privatizzare tutto il privatizzabile, in modo da contenere la spesa. Fornendogli, chiaramente, gli strumenti legislativi per farlo, di cui, appunto, questo disegno di legge costituisce un valido esempio. Sempre citando I relatori: “…La governance dei parchi viene snellita e rafforzata. Diventa più forte il ruolo del Presidente del Parco, sempre nominato con decreto del ministro dell’Ambiente, d’intesa con i presidenti delle regioni in cui ricade il territorio dell’area protetta, nell’ambito di una terna di soggetti con comprovata esperienza nelle istituzioni, nelle professioni e nella gestione di strutture pubbliche e private. . Viene modificata la composizione del Consiglio direttivo, che avrà dai 6 agli 8 membri e sarà designato per il 50% dalla Comunità del Parco…”. Dunque, la presidenza resta di nomina politica e per la sua designatura non è richiesta nessuna competenza specifica e riconosciuta in materia ambientale e culturale; la rappresentanza statale sparisce dal Consiglio Direttivo, per far posto a rappresentanze degli amministratori locali e degli interessi produttivi degli agricoltori o in alcuni casi dei pescatori sbilanciando le decisioni degli enti parco; gli articoli che trattano i nullaosta e l’iter autorizzativo per interventi edilizi nelle aree protette e nei parchi non sono per niente chiari e forniscono maglie molto larghe in cui facilmente si potranno inserire gli speculatori.
Molte associazioni ambientaliste ed non governative hanno espresso la loro contrarietà a questa riforma. Non entriamo nel merito di questa disputa, visto che è un gioco politico molto più grande di noi e, soprattutto, che gran parte di tali associazioni in passato ha reso possibili interventi in senso indubbiamente peggiorativo nella tutela delle aree verdi per ragioni di tipo clientelare sulla gestione dei parchi.
Non si tratta, dunque, di difendere “a spada tratta” un sistema di gestione pubblico di cui più volte abbiamo denunciato le inefficenze, le contraddizioni, le criticità. Si tratta, bensì, di denunciare l’ennesima manovra della politica partitica di qualsiasi colore per far passare la privatizzazione come unica soluzione possibile al fine di sanare le casse pubbliche e rimediare alle inefficenze degli enti pubblici, quando invece sarebbe magari possibile una riforma seria della tutela delle aree verdi senza toccarne l’indispensabile valenza pubblica. L’ennesimo tentativo di svendere il patrimonio collettivo da combattere con forza in tutte le sedi possibili, in primis smontando la retorica del “privato è meglio”: la vicenda dei Punti Verde Qualità ci ha ben insegnato come il privato significhi solo profitti, devastazioni, voragini finanziarie nei conti pubblici.
Nel nostro piccolo, ed invitiamo tutti e tutte a farlo nelle proprie possibilità, cercheremo di fare controinformazione e a mobilitarci contro questa riforma. Ben consapevoli che l’unica possibilità di fermare questi processi e salvaguardare le aree verdi sia l’attivazione collettiva dal basso, la lotta contro le devastazioni ambientali, la riappropriazione di spazi come il Casale Alba 2, l’avvio di percorsi partecipati come quello del Comitato Mammut sul Parco Cicogna.
I PARCHI ED I TERRITORI SONO DI CHI LI VIVE!
SU AGUZZANO E I SUOI CASALI NON SI SPECULA!