Casale San Nicola, via Visso e la trappola dell’accoglienza

I recenti avvenimenti di via Visso e Casale San Nicola sono emblema 
dell'ennesima trappola del sistema di accoglienza, fucina bipartisan di 
profitti e voti. Proviamo a fare una riflessione più organica su questo 
trasferimento, le speculazioni politiche ed economiche, il rapporto con 
alcuni fatti recenti e con le prospettive locali, nazionali ed europee.

Partiamo, anzitutto, dallo specifico caso del Centro di via Visso, che, 
nonostante abbia rivestito per i ragazzi il termine principale di 
rivendicazione, è sempre stato lungi dall'essere difeso sia dalle realtà 
territoriali che dagli stessi “inquilini”. La struttura era gestita dalla 
cooperativa Inopera, coinvolta nell'inchiesta Mafia Capitale e titolare 
anche del centro rom Best House, sempre a via Visso, finito alla ribalta 
delle cronache qualche mese fa per le condizioni disumane in cui 
alloggiano gli ospiti a fronte di quasi 700 euro mensili di spese a 
persona. Per quanto concerne il centro di accoglienza, i migranti hanno 
più volte denunciato la scarsa qualità del cibo, la fatiscenza della 
struttura, le irregolarità nella consegna del “pocket money” (la paghetta giornaliera), 
l'atteggiamento aggressivo di alcuni operatori che pretendevano di 
controllare a pieno la vita dei ragazzi. A ciò si aggiungeva una 
pressocchè totale mancanza di comunicazione rispetto alla loro 
situazione legale, alla commissione per lo status di rifugiato, alla 
preparazione per il colloquio, alle miriadi di domande cui, com'è 
naturale che sia, persone che si giocano il futuro vorrebbero 
quantomeno risposta. Per citare un esempio su tutti, i ragazzi si sono 
dovuti recare autonomamente alla Questura per informarsi sulla data 
della commissione,che non gli veniva comunicata dagli operatori.

Nonostante la difficile situazione, quella che doveva essere una 
sistemazione provvisoria ha assunto una dimensione più stabile e gli 
ospiti hanno cercato un contatto con il territorio, tentando di 
costruirsi relazioni anche al di fuori delle struttura in cui, volenti o 
nolenti, erano relegati. Già un mese dopo il loro arrivo hanno iniziato 
a frequentare il corso d'italiano al Casale Alba 2, da cui è nato un 
rapporto che è andato ben oltre l'insegnamento della lingua e si è 
trasformato in una partecipazione più profonda alle attività dello 
spazio sociale. Una, seppur piccola, dimostrazione di come si può 
rompere il ghetto che viene costruito intorno alla figura del migrante, 
instaurando relazioni che non si basano sulla concezione vittimistica 
della loro condizione ma sulla costruzione di una comunità unita e 
consapevole. Tale frequentazione, tuttavia, se dapprima era accolta con 
favore dalla cooperativa del centro, in un secondo momento ha incontrato 
le sue resistenze, con le quali ha cercato di limitare i contatti per 
timore che questa esperienza potesse rendere i migranti meno addomesticabili”. Numerosi sono stati i tentativi di controllo delle 
presenze e delle attività che i ragazzi svolgevano nel Casale e sul 
territorio, non accettando l'ipotesi che essi potessero intraprendere 
percorsi svincolati dalle strette maglie dell'accoglienza “made in 
Italy”.

E' da notare che il centro è inserito in un quadrante, quello tiburtino, 
in cui la questione accoglienza è all'ordine del giorno di politicanti, 
prefettura e cooperative. Il IV Municipio presenta, infatti, un numero 
elevato di centri: biglietto da visita non proprio gratificante per 
gli interessi di amministrazioni e affaristi vari sull'asse della 
Tiburtina, futuro centro nevralgico per il Giubileo e direttrice privilegiata di espansione della metropoli. 
Lo sgombero della baraccopoli di Ponte 
Mammolo, non più tardi di due mesi fa, aveva ben evidenziato la volontà 
da parte di amministrazioni locali e cittadine di fare un po' di pulizia”, asserendo la giustificazione della “sicurezza e del 
ripristino della legalità, oltre che il debellamento di alcune malattie 
infettive gravi”. Che, tradotto, per questi signori significa mettere in 
mezzo alla strada centinaia di persone da un giorno all'altro, non 
offrire loro una sistemazione degna, disseminare focolai di infezioni 
per la città e creare un'enorme discarica a cielo aperto di cui si sta 
aspettando un bando per la rimozione(!). Un'operazione ai limiti del 
paradossale, se si pensa che quel sito già sopperiva a una grave 
dolosa mancanza del sistema di accoglienza italiano ed europeo: un luogo di smistamento per i migranti 
in transito che vogliono proseguire verso i Paesi del Nord Europa. Ponte 
Mammolo era uno snodo autogestito di questo tipo, certo con mille 
problemi e contraddizioni, ma ormai divenuto punto di riferimento per 
chi proveniva da Lampedusa e carcava riparo per qualche notte. Oltre 
alle decine di persone che ne avevano fatto la propria casa, arredandola 
e tenendo lì gran parte dei propri, pochi, effetti personali. Con la 
distruzione delle baracche, costruzioni a cui peraltro lo storico 
quartiere di Pietralata non è nuovo in quanto rappresentano le sue 
origini di borgata, amministrazioni e prefettura hanno tentato di 
mostrare dei muscoli che non hanno: infinite sono state le polemiche 
delle settimane successive e gli strascichi della vicenda sono tuttora 
ben evidenti non solo nel parcheggio antistante Ponte Mammolo, ma anche al centro Baobab e alla 
Stazione Tiburtina, dove sono assiepati gli ex-baraccati. A poco vale la 
promessa, da parte dell'Assessorato alle Politiche Sociali, 
dell'apertura di un centro per transitanti nei pressi della Tiburtina, 
non solo perchè, come ragione vorrebbe, questo avrebbe dovuto precedere 
l'eventuale sgombero della baraccopoli, ma anche 
perchè le 50 camere della struttura sono del tutto insufficenti a 
coprire un flusso di migliaia di persone. Senza contare la volontà delle 
persone che abitavano e attraversavano quotidianamente le baracche, 
peraltro senza mai causare disagi e attriti col quartiere circostante, ma questa è un'altra storia...

Il paragone con Ponte Mammolo è d'obbligo, sia per l'insistenza sullo 
stesso territorio, sia per il disegno che motiva e rende possibili 
operazioni di questo tipo. Anche se, è bene ricordarlo, non è l'unico 
caso avvenuto negli ultimi mesi in questo municipio: nel giro di qualche 
mese abbiamo assistito ad altri due episodi molto simili, ovvero la chiusura 
del Centro di Accoglienza di via di Rebibbia (nel qual caso solo grazie 
alla determinazione dei migranti si è riuscito ad evitare un loro 
smistamento in tutta Italia) e la possibile chiusura della struttura di 
via Scorticabove, per cui gli ospiti hanno ottenuto una proroga e stanno 
trattando sulla loro permanenza. E' dunque chiaro l'intento 
dell'amministrazione municipale di togliere il territorio tiburtino 
dalla cima delle classifiche per l'accoglienza dei migranti; una 
richiesta, quella dello smistamento in tutti i municipi, che potrebbe 
anche essere legittima, se non fosse che le modalità con cui viene 
eseguita sono fuori da ogni programmazione e, soprattutto, seguono i 
soli criteri della convenienza politica e del profitto, senza, neanche a 
dirlo, tenere in considerazione le esigenze dei soggetti interessati.

Agli ospiti di via Visso, in linea con questa impostazione, viene 
comunicato con sole 48 ore di anticipo, senza possibilità di 
alternativa, il trasferimento nella nuova struttura, quell'ex scuola di 
Casale San Nicola a cui da mesi i comitati della zona si oppongono: il 
quartiere dell'Olgiata, ricco e benestante, non può certo accettare la 
presenza di “stranieri” sul proprio territorio. Una protesta che 
costituisce terreno estremamente fertile per le speculazioni politiche 
della destra, sia riformista che radicale, sempre in prima linea nel 
fomentare la xenofobia e l'odio razziale per i propri tornaconti 
elettorali, per difendere gli interessi padronali e dirottare verso 
le vittime di turno cariche di rabbia altrimenti pericolose per il 
potere costituito. Il meccanismo utilizzato è sempre quello della 
strumentalizzazione dei comitati di quartiere, o in qualche caso perfino 
la loro costruzione artificiale: un elementare ma sempre efficace 
sistema della per creare consenso, dare una veste di legittimità alle 
proprie manovre e mascherare il coinvolgimento a pieno titolo 
nell'affare dell'immigrazione (Mafia Capitale docet). A Casale San 
Nicola, con la complicità del solito circo mediatico, viene costruito ad 
hoc un teatrino da manuale: in poche ore la protesta di 
qualche decina di persone diventa un caso di respiro nazionale 
sull'emergenza immigrazione, proprio nei giorni in cui a Bruxelles si 
discute la redistribuzione dei migranti su scala europea e, 
contemporaneamente, accadono due fatti simili a Treviso e Livorno. Caso” vuole che, quando nei giorni successivi vene trasferita la 
seconda parte di migranti nel Centro, la mancanza di scaramucce (perchè 
solo così si possono chiamare gli “scontri” amichevoli di quel giorno) ha fatto sì che 
la notizia passasse in sordina sui quotidiani nazionali e in poche righe 
sui locali.

Ci sono, dunque, parecchie chiavi di lettura degli avvenimenti. Il primo 
dato che salta agli occhi è senza dubbio la complessità della figura del 
migrante già prima che diventi tale, ovvero si metta in viaggio verso 
una vita migliore. Qualsiasi considerazione sui flussi migratori 
non può infatti prescindere dalla comprensione di come la 
fine della colonizzazione “fisica” del secolo scorso non abbia 
significato il termine dell'assoggettamento delle popolazioni, ma 
bensì un semplice “cambio di casacca”, dalle volontà di potenza degli 
Stati-nazione al colonialismo economico delle multinazionali. In un 
momento di congiuntura economica così sfavorevole e di competizione fra 
le classi dominanti di Paesi emergenti e Occidente, è di vitale importanza, per 
entrambe le parti, sia lo sfruttamento di risorse, umane ed economiche, 
sia l'istituzione di mercati da esportazione. Ingenti 
investimenti e derive imperialiste ai 4 angoli del globo costituiscono 
una costante nella politica estera delle potenze che si spartiscono le 
sorti del pianeta, generando guerre, sofferenze e sfruttamento. Da qui 
la voglia da parte dei giovani asiatici, sudamericani o, come in questo 
caso, africani di emanciparsi da questa spirale e partire verso 
l'illusione di un'esistenza degna, cercando di sfruttare a proprio 
favore gli effetti della stessa globalizzazione che provoca la 
condizione degradante delle loro comunità d'origine. E già qui viene 
meno uno degli assiomi su cui fanno leva non solo perbenisti e razzisti, 
ma anche le stesse commissioni che assegnano l'asilo politico: fare un 
distinguo nell'accoglienza delle persone che non provengano da scenari 
di “guerra” propriamente detti, come se non lo fosse anche lottare 
quotidianamente per la sopravvivenza. Una fantasiosa interpretazione che 
denota, da una parte, ignoranza ed egoismo endemici, mentre dall'altra il non volersi  
assumere le responsabilità derivanti da secoli di 
sfruttamento e anzi continuare a beneficiarne. In questo senso 
emblematiche sono le operazioni militari di difesa della “fortezza 
Europa”, che mirano sia a mantenere l'emergenza per perpetuare il 
business dell'immigrazione, sia a marcare una volta di più i confini tra 
la società del benessere e i dannati della Terra.

I migranti che riescono a sopravvivere a una lunga e tortuosa traversata 
si trovano così ad affrontare una sfida, se possibile, ancora più dura, 
fatta di udienze, sgomberi, frontiere chiuse, trasferimenti, reclusioni, 
ricatti. Sia che decidano di ripartire verso il Nord Europa sia, 
soprattutto, di restare in Italia, essi costituiscono, dal momento in 
cui mettono piede sulla terraferma, occasione di guadagno per chi 
gestisce la loro presunta “accoglienza”: un esempio ne sono le dita e 
braccia rotte nei luoghi di sbarco per costringere i malcapitati a dare 
le impronte e, di conseguenza, a mettere in moto il meccanismo delle 
sovvenzioni. Per avere un gettito continuo questo sistema ha tre 
necessità principali: anzitutto la continuità del flusso, che deve essere costante e massiccio; 
il mantenimento dell'emergenzialità, che fornisce terreno fertile per speculazioni, decisionismo, soluzioni di forza; 
la completa ricattabilità dei soggetti in questione, che devono essere ridotti a 
esseri poco più che inanimati al servizio di chi su di loro fa profitti. 
La concezione vittimistica e l'approccio assistenziale nei confronti dei 
migranti sono, dunque, parte essenziale di tale meccanismo: la prima per 
svuotare qualsiasi potenziale conflittuale, di loro stessi come di chi è 
solidale; il secondo per fornire strumenti di ricattabilità attraverso 
cui manovrarli a pieno senza possibilità di alternativa. Lo status di richiedente asilo, infatti, 
non prevede obbligatoriamente un'assistenza così totale: fornire un 
posto dove dormire, mangiare, reperire medicine e una misera paghetta 
giornaliera di 2,5 euro in cambio di cieca obbedienza diventa dunque il
mezzo attraverso cui rendere le persone dipendenti dallo stesso sistema 
che su di loro specula e, in qualche modo, li prepara alla condizione di ricattabilità cui saranno destinati dopo la trafila 
dell'accoglienza. Anche successivamente, infatti, la loro permanenza, 
soprattutto per chi non dovesse vedere accolta la richiesta di asilo, è 
legata a doppio filo all'ottenimento di un lavoro, poco importa se 
sottopagato o in semischiavitù. I magazzini della logistica, i campi 
coltivati, i benzinai, i cantieri, le fabbriche sono pieni di 
extracomunitari disposti, pur di non essere rispediti nel proprio Paese 
d'origine, a lavorare in condizioni disumane, al soldo degli stessi che 
agitano ad orologeria il mostro dell'immigrato stupratore e tagliagole 
che vive sulle spalle degli italiani e gli ruba il lavoro. Una 
costruzione del nemico da sfruttare già vista, neanche un secolo fa, con 
gli abitanti delle regioni meridionali, bacino inesauribile di forza 
lavoro a basso costo e capri espiatori cui addossare, in caso di 
necessità, responsabilità di ogni tipo.

Si approssima un contesto in cui le varie operazioni militari 
nel Mediterraneo, la presunta redistribuzione dei migranti in Europa, la 
chiusura delle frontiere, il sistema d'accoglienza, le migliaia di morti durante le traversate 
appaiono sempre più come un semplice gioco delle parti che non hanno alcun interesse, se non 
quello speculativo, nella vita dei migranti. La 
vicenda di Casale San Nicola e via Visso è solo l'ultima ruota di un 
carro ben più grande e complesso che evidenzia una volta di più la 
continuità nella gestione dell'accoglienza con le modalità precedenti all'inchiesta Mafia Capitale, 
semplice passaggio di potere tra diversi gruppi di interesse. Il mondo cooperativistico, o meglio i suoi padroni, vero 
motore dell'intero sistema, continuano a dettare i tempi 
dell'accoglienza con gli unici criteri di convenienza e profitto, 
supportati e legittimati dal sodalizio con amministrazioni e forze 
dell'ordine. A dimostrazione di ciò basti pensare che il principale 
motivo della vera e propria deportazione di cui stiamo parlando è un cambio di appalto 
tra cooperative, che, peraltro, scade a fine dicembre, con probabile 
ulteriore trasloco degli inquilini: tanto probabile che il principale termine di 
trattativa con i comitati di quartiere sulla loro permanenza nel centro, 
sbandierata come una vittoria della concertazione prefettizia, è stato 
proprio la provvisorietà della sistemazione e l'istituzione di un 
presidio di sicurezza fisso.

Del trasferimento dei ragazzi dalla Tiburtina all'Olgiata, e soprattutto 
della conseguente montatura mediatica, hanno, dunque, beneficiato più 
attori: anzitutto le varie formazioni della destra, che, come già detto, 
stanno facendo dell'immigrazione il principale volano di campagna 
elettorale e di lavaggio d'immagine del loro coinvolgimento negli affari sui migranti; 
le amministrazioni, comunali e del IV 
municipio, che, senza esporsi più di tanto, stanno attuando una lenta ma 
costante deportazione dal tiburtino, ingraziandosi 
l'elettorato più sensibile alla tematica della legalità e del decoro e 
contemporaneamente concedendo favori alle cooperative conniventi di 
nuova generazione; le cooperative stesse che,  lontano dai riflettori, 
continuano ad essere arbitri, speculatori e controllori del business 
dell'accoglienza; le prefetture che, lungi dall'essere, come vorrebbero 
far credere, le vittime sacrificali del meccanismo, costituiscono il 
braccio armato del triumvirato con amministrazioni e cooperative, il cui 
puntuale intervento da una parte mantiene lo status di emergenzialità, 
attraverso cui si giustifica qualsiasi provvedimento, e dall'altro evita 
alla politica una difficile mediazione sul problema; l'attuale governo 
che, in quei giorni, nella persona del ministro Alfano andava a 
discutere a Bruxelles la fallace redistribuzione dei migranti su scala 
europea, a cui senza dubbio le vicende di Roma, Treviso e Livorno hanno 
fornito un valore aggiunto nei termini della trattativa; la stessa fortezza europa”, che continua a chiudere le proprie frontiere nel 
Mediterraneo, a Ventimiglia, a Calais perchè le sue classi dirigenti 
devono poter decidere i modi, i tempi e le quantità di afflusso dei 
migranti.

Restano, comunque, da questa vicenda, anche alcuni dati positivi, che 
potrebbero costituire la base per affrontare in futuro una questione che sembra tutt'altro che finita.
 Oltre, infatti, a delineare sempre meglio i contorni di un sistema difficile da decifrare, esperienze come questa 
costituiscono un bagaglio prezioso per chi le vive sulla propria pelle o 
sul proprio territorio. Significativa, in questo senso, è stata la 
crescita che i ragazzi di via Visso, e con loro le realtà della zona, hanno dimostrato dal loro arrivo 
fino ai giorni di mobilitazione. Confrontarsi collettivamente sulle 
decisioni da prendere, partecipare in massa alle iniziative, cercare, facendo lo 
slalom tra le minacce di perdere l'accoglienza e l'asilo 
politico, forme di attivazione diretta come quella del presidio testimoniano un livello di coscienza e responsabilità 
collettive che, come modello riproducibile, potrebbero essere la genesi 
di una possibile lotta per la conquista della propria dignità. 
Esperienze di questo genere, esattamente come quella del presidio 
permanente di Ventimiglia, sono passaggi fondamentali per 
dotarsi degli strumenti necessari ad affrontare una tematica così 
multiforme e, nel contempo, dare modo a chi è confinato nel limbo della 
figura del migrante di attivarsi direttamente per il miglioramento della 
propria condizione, senza dover attendere, anche qui, che qualcuno 
dall'alto intervenga e decida sulla sua vita.

Inoltre, nonostante la chiarezza delle intenzioni, la mancanza di un 
piano istituzionale preciso di attuazione del disegno sull'immigrazione determina una 
casualità e provvisorietà degli interventi che potrebbe essere sfruttata 
per far esplodere l'enorme quantità di contraddizioni del sistema 
accoglienza. Starà dunque alle realtà che operano nei quartieri continuare a 
denunciare sistematicamente questo stato di cose, evitare con ogni mezzo 
la guerra tra poveri indicando con determinazione i veri colpevoli e, quando 
possibile, supportare le mobilitazioni dei migranti, così da creare 
qualche piccolo inceppamento nella disgustosa macchina che si cela 
dietro all'immigrazione. 

NON CI CASCHIAMO PIU': IL VERO DEGRADO SONO POLITICI E AFFARISTI CHE 
SPECULANO SULLA PELLE DEI MIGRANTI E DEI TERRITORI!

                                                               

Presidio Solidale Via Visso

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *