Il progetto è nato da una causa strettamente contingente: la diminuzione dell’orario di lavoro per molte detenute che ha comportato una notevole riduzione delle già poco sostanziose entrate mensili. Ci siamo poste il problema di come affrontare l’ennesima stretta a spese di chi non ha altre alternative per non gravare sui propri familiari. Ci siamo così confrontate e unendo l’ingegno al materiale riciclato e raccolto, ognuna con le proprie capacità, siamo riuscite a far uscire dalle nostre mani i prodotti che vedete qui esposti. Alla mera, ma necessaria, contingenza economica si è unita fin da subito però la volontà di fare in modo che il progetto fosse un’esperienza condivisa fra tutte, che ciò che se ne ricavava fosse diviso in parti uguali per superare una logica personale in un’ottica di cooperazione e collaborazione, dove il lavoro di una è quello di tutte.
La bancarella con i nostri manufatti ci offre la possibilità di sentire di far parte di una realtà dalla quale siamo state escluse, ci lega alla vita di fuori e in qualche modo parla di noi.- Ogni oggetto dal pupazzo al cappellino è il frutto delle mai e del pensiero di chi vive qua dentro e ci piace pensare che le risate condivise nella preparazione si siano trasmesse su questi lavori ed escano da qui e finiscano nelle vostre case, a testimonianza delle nostre vite vive.
Ci piace l’idea che la bancarella occupi un posto all’interno di uno spazio che tante persone, diverse tra loro, non vogliono cedere a nuovi muri, a nuovo cemento, a nuove sbarre.
Ci piace pensare che chi vi gravita colga il senso dell’inumana ingiustizia di una reclusione, della mostruosa aberrazione di un corpo rinchiuso, ancor più se di bambino. Ci piace pensare che si possa lottare contro la costruzione di un nuovo carcere, contro l’appropriazione dall’alto di un parco di tutte e tutti per renderlo un luogo di sofferenza, di privazione, di alienazione perché altro non sarebbe; perché altro non è un carcere.
E chi è dentro sente battere forte il cuore quando pensa che un passo è stato fatto in questa direzione.
Perché il carcere non è la soluzione.
Le detenute della sezione AS del carcere di Rebibbia